martedì 19 novembre 2013

Capitolo 2: Buon Compleanno, Mr. Lightwood


JACE

Guardo con occhi spalancati Clary che è piombata sul mio letto dal nulla.
«Clary…» balbetto, confuso «Cosa ci fai qui?»
Lei sorride e si alza dal mio corpo, sollevando un sacchetto di plastica.
«Pic-nic di compleanno» risponde, con una lieve risatina.
Rido anche io al ricordo di quella notte d’agosto quanto ci scambiammo il primo bacio, nella serra di Hodge.
Mi scopro dalle lenzuola e mi siedo a terra, imitato da lei.
«Allora…» chiedo, divertito «Cosa nascondi il quel sacchetto?». Clary, senza staccare gli occhi dal mio viso, lo apre, mostrandomi il contenuto:
«Mele, panini al formaggio, cioccolato ai cereali…» sollevo lo sguardo «Non ti sei fatta mancare proprio nulla, eh?»
«Già» ribatte, serafica «Ho anche il coltello» continua, tirando fuori dal sacchetto un coltellino svizzero.
«Premurosa…» dico, divertito.
Metto da parte le mele e il coltello, e afferro i due panini al formaggio, uno dei quali lo tendo a lei.
«Grazie…» sussurra, levando il tovagliolo di carta.
Dà un morso e mi fissa di sottecchi:
«Come vanno gli addestramenti alla Città Silente?». Deglutisco il boccone che avevo in bocca:
«Abbastanza bene. Sto imparando a tener sotto controllo il Fuoco del Paradiso, solo che sono sfiancanti… Fratello Zaccaria è terribile. Non mi molla un secondo» rabbrividisco «Sembra che il fatto che impari a controllarlo prima di riuscire a liberarmene sia diventato il suo unico scopo nella vita»
La vedo aggrottare le sopracciglia:
«Eppure sembra così… umano…»
«Oh, lo è» rispondo «Fra tutti è quello con cui si riesce ad interagire meglio… ma ti giuro… come insegnante è pesantissimo». La vedo inarcare un sopracciglio:
«Peggio della signorina Rottermeier?». Sgrano gli occhi:
«Chi?». Ridacchia:
«Un personaggio di un vecchio cartone animato. Era una tutrice irreprensibile… e antipatica»
«Beh» rispondo, deglutendo un altro boccone del panino al formaggio «Fratello Zaccaria è simpatico» faccio una pausa, osservandola addentare l’ennesimo pezzo di pane «E tu? Come vanno gli allenamenti qui?»
«Bene» risponde, con un lieve sorriso «Sto diventando abbastanza brava a lanciare i coltelli. Oggi ho centrato tre volte di fila il centro del bersaglio»
«Complimenti» dico, sinceramente ammirato «E con i salti come va?». La vedo arrossire nel buio:
«Su quelli ho ancora qualche problema… e Alec si diverte a prendermi in giro». Inarco un sopracciglio, mentre appallottolo il pezzo di stagnola e carta nel quale era avvolto il mio panino:
«E tu ricordagli che si è tirato da solo un calcio in testa…» borbotto, mentre afferro il coltello e la mela, iniziando a sbucciarla.
«Jace…»
«Mh?» dico, sollevando lo sguardo; corrugo le sopracciglia di fronte alla sua strana espressione.
Che diavolo…
Mi si avvicina gattonando e si risiede al mio fianco, mettendo la mano destra sul pavimento oltre il mio corpo.
Ciao ciao ragione mia. Mandami una cartolina dalle Hawaii…
«Jace… conosci Marilyn Monroe e John Fitzgerald Kennedy?» chiede, con voce suadente.
Sbatto un paio di volte le palpebre, per cercare di riconnettere i neuroni.
Come può pretendere che le risponda sensatamente se mi sta appiccicata come una cozza e mi parla con quella voce lì?
«Chi?»
Ridacchia e scuote la testa.
«Erano lei un’attrice molto famosa degli anni Cinquanta e lui il Presidente degli Stati Uniti della fine di quegli anni…» fa una pausa, spostandosi una ciocca di capelli dalla fronte, mentre io stringo convulsamente la mela e il coltello che ho tra le mani per non compiere gesti inconsulti «Ed erano amanti»
«E… allora?» chiedo, cercando di deglutire, ma niente: saliva azzerata.
«Quando fecero la festa per il compleanno del Presidente, lei cantò “Buon compleanno, signor Presidente” in una maniera molto sensuale…»
«Quindi…?»
«Quindi…» si avvicina ancora di più, fermandosi ad un centimetro dalle mie labbra «Happy birthday, Mr. Lightwood…»
Al diavolo!
Lancio la mela e il coltello da qualche parte nella stanza, afferro Clary per le spalle e la schianto senza troppi problemi sul pavimento, incollando la mia bocca contro la sua.
«Tu sarai la mia morte, Clarissa…» bisbiglio, quando mi stacco per riprendere fiato. Ridacchia e riprendiamo a baciarci, come se fossimo viandanti nel deserto senza un goccio d’acqua che vedono un pozzo dopo giorni di cammino.
Sento le sue piccole mani scivolare lungo la mia maglietta bucata che uso per dormire e afferrarne i bordi.
Allungo in avanti le braccia e lei mi sfila la maglia, lanciandola da qualche parte alle sue spalle. Mi appoggio sull’avambraccio sinistro, mentre con la mano destra afferro l’incavo del suo ginocchio e le piego in avanti la gamba, tenendola salda contro di me.
La sento mugolare e – quando alza il bacino – afferro con violenza la stoffa del suo vestito e le lo strattono verso l’alto, sfilandolelo, facendogli fare compagnia alla mia maglietta.
A questo punto credo che avrò un infarto.
«Ammettilo, Clary…» sussurro, col fiatone «… hai deciso di uccidermi…».
Ride e scuote la testa, riprendendo poi a baciarmi. Mi metto in ginocchio, trascinandola con me e facendola accomodare sul mio grembo, accarezzandole a palmi aperti la schiena completamente nuda.
E già… perché questa vipera non ha messo il reggiseno…
Senza staccarmi dalle sue labbra, poggio la mano destra sul materasso, facendo forza per alzarmi e far sdraiare Clary nel mio letto, i capelli rossi sparsi a ventaglio sul cuscino.
Giocherellando con i suoi riccioli, scendo con le labbra lungo la linea del suo collo e fermandomi tra le due clavicole. Vedo la giugulare pulsare velocemente, e il suo petto che si alza e si abbassa rapidamente.
Col dito indice, le accarezzo il seno sinistro, facendola boccheggiare, mentre, lasciandole baci lievi  sulla pelle, raggiungo con la bocca il capezzolo del seno destro, che stringo tra i denti.
«Jace!» ansima, stringendomi i capelli in una morsa.
Ridacchio leggermente, senza staccare le mie labbra dalla sua pelle, e accarezzando con l’intera mano l’altro suo seno.
Dopo non so quanti minuti che la torturo, inarca di colpo il bacino, facendolo sbattere violentemente contro il mio.
Mugolo e, a malincuore, stacco le labbra dal suo seno; mi tiro su, trovandomi  in ginocchio tra le sue gambe, e, con delicatezza, poso le mani sui bordi dei suoi slip.
La guardo in viso: mi fissa con gli occhi verdi spalancati e col labbro inferiore stretto tra i denti. Annuisce impercettibilmente e, con lentezza, faccio scorrere gli slip lungo le sue gambe chiare. Le afferro il polpaccio sinistro e le faccio piegare la gamba verso il suo busto, in modo da poterla sfilare. Afferro poi la sua caviglia destra e la sollevo al livello della mia spalla. Lentamente, poso le mie labbra sulla sua caviglia, baciandola con delicatezza, per poi risalire con calma verso l’alto. Mi viene in mente il privée nella discoteca di Praga. Sì, ero drogato e sotto il controllo di Sebastian… ma ricordo bene che quando le baciai il ginocchio, Clary aveva emesso un gemito più forte degli altri.
Arrivato al ginocchio, la mordo lievemente e lei mi afferra con violenza i capelli, mordendosi le labbra per non farsi sentire.
Sorrido sulla sua pelle, mentre avanzo verso l’alto e Clary lascia scivolare la gamba lungo la mia schiena, senza mai mollare la presa sulla mia chioma bionda.
Le mordicchio la spina iliaca appena evidente e mi fermo sullo stomaco, dato che la gamba di Clary è ormai alla trazione massima.
Tenendo la mia mano sinistra sul suo ginocchio e sollevandomi lievemente, raggiungo con le dita della mano destra il clitoride, strizzandolo delicatamente tra i miei polpastrelli.
La vedo spalancare gli occhi e inarcare di botto la schiena, mentre con una mano si tappa violentemente la bocca per impedirsi di urlare.
«Fregatene, Clary» le sussurro «Le stanze di Izzy e Alec sono lontane… e poi voglio sentire quanto ti piace…»
«Tro…p…po…» ansima, fissandomi e premendo la sua gamba sulla mia schiena, per non lasciarmi andare (come se volessi poi farlo…) «Mi… piace… troppo…»
Mi scappa una risatina:
«Per così poco…?» chiedo, infilando un dito dentro di lei.
Clary chiude gli occhi di scatto, buttando la testa all’indietro e infilandosi entrambe le mani tra i capelli, stringendoli forte.
Continuo a muovere il dito, mentre lei sussurra il mio nome come una cantilena.
Quando aggiungo un altro dito, la vedo piantare le unghie nelle lenzuola, e piegare le dita come se volesse strapparle.
La lascio libera dalla presa delle mie mani quando l’orgasmo la travolge e un urlo le muore in gola.
Resto sospeso su di lei, col viso all’altezza del suo e sorreggendomi sul braccio sinistro, con la mano poggiata accanto alla sua testa. Quando riapre gli occhi le sorrido malizioso, infilandomi le dita bagnate in bocca.
Se non avesse già il viso rosso, scommetto che arrossirebbe come una bambina.
Appena finisco di leccare le mie dita, Clary mi afferra di scatto la nuca e trascina il mio viso verso il suo, incollando le sue labbra alle mie, entrando prepotentemente con la lingua nella mia bocca.
Preme le sue mani sulle mie spalle e, facendo passare la sua gamba destra attorno alla mia vita, mi costringe a girarmi, inchiodandomi supino sul materasso.
Fa passare le sue labbra lungo il mento e poi la linea della mascella, fermandosi a mezzo centimetro dal mio orecchio, mentre con le mani vaga lungo tutto il mio petto e l’addome, fermandosi proprio sul bordo dei pantaloni di cotone.
«Sei troppo vestito…» mi sussurra, con lo stesso tono di voce con cui mi ha cantato “Buon compleanno”. Aiutandosi anche con le gambe, riesce a sfilarmi in un colpo solo sia i pantaloni sia i boxer, che io calcio da qualche parte in fondo alla stanza.
Quando con le labbra scende sul mio petto e imita ciò che io ho fatto, stringo il labbro inferiore tra i denti e butto indietro le braccia, afferrando con violenza la testiera di legno. Credo di sentire un “crack” ma, ad essere sinceri, è l’ultimo dei miei pensieri.
Sento le sue dita pizzicare maliziosamente la pelle sopra la spina iliaca, decidendo poi di scendere.
Stacco la mano sinistra dalla testiera e le afferro in un attimo il polso, bloccandola.
«No»
Mi guarda confusa e – – dispiaciuta.
«Perché?»
«Perché non risponderei delle mie azioni, Clary» rantolo, mentre cerco di regolarizzare il mio respiro ma con scarsi successi.
«Ma io…»
La zittisco con un bacio, facendola rotolare sotto di me e accarezzandole il corpo con una lunga carezza.
«Ti va?» le sussurro, leccandomi le labbra secche.
Spero mi risponda di sì, perché non so se avrò la forza di fermarmi… non adesso.
Si limita ad annuire, ma sento il suo corpo teso come una corda di violino.
«Allora rilassati» continuo, spostandole una ciocca di capelli che le si è attaccata alla fronte sudata «O ti farò più male di quanto non vorrei…»
Chiude gli occhi e si abbandona sul materasso.
Poggio le mani ai lati della sua testa, per sorreggermi, e mi faccio strada nel suo corpo.
Digrigno i denti.
È strettissima…
Di colpo, afferra le mie spalle e si alza verso di me, piantando i denti nella mia carne, soffocando così un urlo di dolore.
Le circondo la vita con un braccio, stringendola a me.
«Shhh…» le sussurro, cercando di calmare i suoi singhiozzi «… scusami…» continuo, riaccompagnandola dolcemente con la schiena sul materasso.
«Dimmi tu quando sei pronta…» aggiungo, fissandola in viso e cercando di non stringere gli occhi dal dolore.
Stare fermo è una tortura nel senso letterale del termine.
Dopo quella che a me pare un’eternità, mi fa un debole cenno col capo e io comincio a muovermi lentamente.
Inizialmente, la sento lamentarsi ancora per il dolore, poi i suoi lamenti diventano di tutt’altra natura.
«Di più…» sussurra, con gli occhi chiusi.
Grazie al Cielo…
L’accontento più che volentieri, dato che quel ritmo così dolorosamente lento mi stava facendo perdere il senno.
Mi chino a baciarla, mentre continuo a sbattere il mio bacino contro il suo, che mi viene timidamente incontro.
Quando sento di arrivare al limite, prendo la sua mano destra che mi stringe la spalla, per poi intrecciare le dita e portarla tra i nostri due corpi.
«Toccati» le sussurro, mentre la mia ragione se ne sta tranquillamente spaparanzata su una sdraio su una spiaggia delle Hawaii intenta a scrivermi una cartolina.
Se non si sbriga, io muoio…
Esitante, mi ubbidisce e io devo morsicarmi le labbra a sangue e stringere gli occhi fino a farmi male per trattenermi.
Avanti, Clary… avanti…
Quando i suoi muscoli mi chiudono in una morsa e la sua schiena si inarca di colpo mi lascio andare.
Grida il mio nome, graffiandomi violentemente la schiena, e dal fondo della mia gola parte un ringhio basso, mentre con tre spinte secche mi svuoto completamente in lei.
Nel momento in cui riprendo contatto con la realtà, mi rendo conto di come sono messo.
Le braccia mi tremano violentemente.
Sono tutto sudato e i capelli della nuca sono fradici.
Cerco di calmare il mio respiro ansante mentre guardo Clary sotto al mio corpo, che non sta messa molto meglio di me: le ciocche di capelli rossi sono incollate alla fronte sudata, gli occhi sono chiusi e il respiro pesante.
Wow…
Appoggiandomi prima su un avambraccio e poi sull'altro, mi sdraio completamente su di lei, posando la mia testa appena sotto il suo collo.
Sento le sue mani correre tra i miei capelli, accarezzandoli distrattamente.
«Visto?» sussurra, dopo qualche minuto «Non mi hai scottato...»
Non posso fare a meno di ridacchiare, poi mi accoccolo meglio addosso a lei e la abbraccio, addormentandomi qualche minuto dopo.

L’ultima cosa che sento, è lei che ci copre con le lenzuola spiegazzate accatastate al nostro fianco.

Capitolo 1: Sono un dannato?

CAPITOLO 1:
SONO UN DANNATO?




ISABELLE

Vengo svegliata dalla luce del sole che mi dà fastidio agli occhi e da un lieve solletico che mi viene fatto sulla spalla destra.
Sbatto le palpebre, più volte, per mettere a fuoco la stanza.
«Buongiorno…» Alzo lo sguardo verso Simon, che mi fissa sorridendo:
«‘giorno…» rispondo, accoccolandomi meglio al suo corpo.
Lo vedo diventare lievemente rosso:
«Vorrei ricordarti che è mattino, non so se mi spiego Iz…». Ridacchio e mi sdraio completamente addosso a lui. Lo vedo affossare la testa nel cuscino:
«Ecco, lo sapevo…»
Distrattamente, gli accarezzo le clavicole:
«Sai… c’è una cosa su cui sto riflettendo da un po’ di tempo…»
«Cioè…?» chiede con voce rauca.
«Da quando sei diventato un vampiro, non hai più messo piede nell’Istituto, giusto…?». Lo vedo inarcare un sopracciglio:
«Izzy, è terra consacrata… e i dannati non possono metterci piede, a meno che non vogliano ridursi in cenere… e – a dirla tutta – non è che ho molta voglia di trasformarmi in tante piccole scagliette un tempo usate per fare il bucato…»
«È proprio questo il punto!»
«Fare il bucato?»
«Ma no!» dico, dandogli un leggero schiaffo sulla spalla sinistra «Tu pensi di essere un dannato, giusto? Eppure, dopo poco tempo, riesci a pronunciare il nome di Dio, mentre molti altri vampiri ci mettono secoli per riuscirci… puoi stare tranquillamente alla luce del Sole… in più, quando hai evocato Raziel, lui ha detto una frase che mi è rimasta impressa nel cervello e non vuole sapere di andarsene»
Si solleva seduto, appoggiandosi alla testiera del letto, costringendomi a sedermi su di lui:
«E quale sarebbe?»
«Prima di darti la spada dell’Arcangelo, ti disse: “Ma sei del sangue e del credo dei Maccabei. Alcuni dicono che erano marchiati dalla mano di Dio. In ogni caso, sei un guerriero del Paradiso, Diurno, che ti piaccia o no»
«Cosa stai cercando di dirmi, Isabelle?» mi chiede, fissandomi con le sopracciglia aggrottate.
«Sto cercando di dirti che secondo me, se lo stesso Raziel ti ha detto che sei un guerriero del Paradiso, non puoi essere al contempo un dannato, e quindi potresti mettere piede in terra consacrata»
Lo vedo chinare il capo, per riflettere.
«Domani è il compleanno di Jace» continuo «Gli faremo una festa a sorpresa, nel pomeriggio. Perché non vieni?» faccio una pausa «Se te la senti, oggi proviamo a vedere se riesci ad entrare… ma se senti anche un minimo dolore, ce ne andiamo subito». Mi guarda negli occhi:
«D’accordo» dice, dopo un po’ «Anche se non lo faccio per quel presuntuoso di Jace… lo faccio per te» sorrido «Sono stufo di fare i turni con Jordan per dividerci la casa…» ridacchio, mentre lui sposta lo sguardo  sull’orologio «E a proposito, tra un’oretta dovrebbe tornare dalla Praetor…»
Faccio un sorriso malizioso:
«Bene… allora vediamo di fare qualcosa per i problemi mattutini di voi maschi…» sussurro.
E mentre scivolo con le labbra lungo il suo corpo, lo vedo buttare la testa contro il muro, chiudere gli occhi e mordersi il labbro inferiore.

SIMON


Fisso davanti a me l’imponente entrata dell’Istituto.
Sono mesi che non mi avvicino nemmeno di cento metri.
Ad essere sinceri, la cosa mi fa soffrire: è diventata la mezza casa di Clary, anche se so che se non fosse per sua madre, rimarrebbe qui ventiquattro ore su ventiquattro... è la casa… il mondo di Izzy… e io non posso nemmeno metterci piede.
«Simon?»
Mi riscuoto e guardo la ragazza accanto a me.
«Sei pronto?» mi chiede, sottovoce «Oppure vuoi lasciare perdere…?»
«No» rispondo, riportando lo sguardo sulla chiesa «Proviamoci»
Lascio andare la mano di Iz e faccio un ulteriore passo nella direzione dell’Istituto.
Poi un altro.
E un altro ancora.
Mi fermo a cinque centimetri dal confine.
Se il mio cuore battesse ancora, starebbe andando ad una velocità impressionante.
E se Iz avesse ragione? Se fosse vero quello che pensa? Che non sono un dannato ma un guerriero del Paradiso, come ha detto Raziel?
Deglutendo a vuoto, sollevo un piede.
Dietro di me, Izzy trattiene il respiro.
Chiudendo gli occhi, avvicino il mio piede al terreno e lo abbasso lentamente; quando tocco il terreno… non succede niente.
Posso stare in terra consacrata…
A mala pena sento l’urlo di giubilo di Isabelle e poco dopo me la ritrovo addosso, cadendo con lei sull’erba.
«Hai visto?» dice, con occhi luccicanti e la voce tremula «Avevo ragione».
Le sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio:
«Già…»
Mi dà un bacio che non mi fa respirare e, quando si stacca, mi sorride maliziosa:
«Merito un premio, no?»
Aggrotto le sopracciglia, mentre lei si alza e mi trascina con sé.
Mi afferra violentemente per la camicia e avvicina il mio viso al suo.
«Tu. Io. In camera mia. Adesso.»

JACE


Fermo sulle Stelle Parlanti, fisso Fratello Zaccaria davanti a me.
Sento il suo sguardo penetrante e inflessibile da sotto al suo cappuccio.
Sei pronto? mi chiede, avvicinandosi fluttuando a me.
«Credo di sì» rispondo, stringendo i pugni.
“Credo” non va bene, Jonathan. O sì o no.
Lo fisso truce:
«Non chiamarmi così»
Ti chiamerò così ogni volta che mi disubbidirai.
Deglutisco: ma che cos’ha?
Allora, sei pronto? ripete, duro.
«Sì» ribatto, chiudendo gli occhi e concentrandomi. Con delicatezza, posa la sua mano ossuta sulla mia spalla e io digrigno i denti per trattenere il Fuoco dentro di me.
Dopo cinque minuti, il mio corpo comincia a tremare e percepisco il Fuoco scappare dalla mia presa.
Se ne accorge anche Fratello Zaccaria, che stacca velocemente la mano e io sento una morsa terribile nel mio cervello, che mi fa crollare a terra, ansante.
Non va bene, Jonathan. Devi mantenere la concentrazione.
«Fosse facile» borbotto, ancora a terra, ansante «Fratello Enoch non sta trovando qualcosa in grado di liberarmene?»

E nel frattempo vuoi bruciacchiare le persone che ti stanno intorno? sibila, fissandomi malevolo dall’alto.
«Beh» dico, alzandomi a fatica in piedi «Coi demoni può essere utile»
Motivo in più per imparare a controllarlo, Jonathan. Ora, sbrigati. Concentrati.
Richiudo gli occhi, riprendendo il controllo di prima. Sento la sua mano ossuta di nuovo sulla mia spalla.
Digrigno i denti, cercando di mantenere il fuoco al suo posto, ma, dopo un po’, mi sfugge.
Di nuovo, il mio cervello si stringe in una morsa che mi fa crollare a terra come un sacco di patate.
Non ti avevo detto di lasciarlo libero, Jonathan. ringhia nella mia testa Vuoi che porti qui Clarissa e la metta al mio posto?
Salto in piedi come una molla:
«Assolutamente no! E poi… perché?»
Lui sta qualche attimo in silenzio, poi comincia a fluttuarmi attorno.
Ho conosciuto dei tuoi antenati…
«Dei Lightwood?» chiedo, senza pensare.
Anche loro, ma io sto parlando degli Herondale sibila, continuando a fissarmi come un avvoltoio Ti puoi sentire molto di più un Lightwood che un Herondale… ma hai il loro sangue, e ci devi fare i conti, ragazzo.
«E cosa c’entra questo con Clary?» ringhio, nervoso. Fratello Zaccaria si ferma davanti a me e mi scruta da sotto il suo cappuccio.
Tutti gli Herondale che ho conosciuto e di cui ho sentito parlare, amavano la compagnia delle donne… e non negare che l’ami anche tu dice, divertito.
Increspo le labbra: ha ragione. Prima di Clary, ho sempre voluto le ragazze… e una volta avute, volevo che mi lasciassero stare.
Ma poi continua una volta trovata quella che aveva fatto loro perdere la testa, erano disposti a tutto per lei. Un tuo antenato ha pure lasciato il Conclave, pur di stare con la mondana di cui si era innamorato…
Sgrano gli occhi:
«Davvero? E tu l’hai conosciuto?»
Conoscevo il figlio, che, caratterialmente, ti assomigliava parecchio. Ti basti sapere questo. E quindi, non credere che non sappia che tu a malapena puoi baciare Clarissa… e di come ti senti.
Sento il mio volto in fiamme. Non riesco a credere di star facendo un discorso del genere con una persona che assomiglia alla versione maschile delle suore di clausura mondane.
«E tu che ne sai di queste cose?» ringhio, infastidito per il fatto di essere stato scoperto.
Più di quanto tu pensi, ragazzo.
Faccio per aprir bocca ma lui mi interrompe ancora:
Quindi, vuoi deciderti a concentrarti ed ad applicarti o vuoi costringermi a portare qui Clarissa e usare lei come cavia?
«No» sibilo, innervosito. Faccio un respiro profondo:
«Sono pronto»

 CLARY

Guardo l’orologio posto sul mio comodino: le 23:57.
Bene. Mamma e Luke dormono della grossa, la porta l’ho chiusa…
Vado verso la scrivania e prendo stilo e il sacchetto di plastica, contenente tutto il necessario, poi m’avvicino alla parete dove tengo la bacheca di sughero e la levo dal muro.
Stringendo lo stilo in mano, comincio a disegnare la runa del Portale, controllando l’ora sull’orologio.
Proprio quando la sveglia fa il consueto “bip-bip” della mezzanotte, ho terminato la runa e, con un sorriso, attraverso la Porta.

JACE


Mi sveglio di soprassalto quando sento che qualcosa mi è caduto addosso.
Sbatto un paio di volte le palpebre quando vedo, addosso a me e messa di traverso, Clary con addosso un vestitino azzurro, scalza e con un sacchetto di plastica nella mano sinistra.
Prima che possa dire qualsiasi cosa, lei sorride:
«Buon compleanno, Jace»